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Emicrania con aura e anticorpi monoclonali

Studi clinici randomizzati hanno rilevato un profilo di sicurezza ed efficacia vantaggioso nell’utilizzo di erenumab tra i soggetti emicranici con aura

I risultati di un’analisi post hoc di studi clinici randomizzati, pubblicati su Jama Neurology, hanno rilevato un profilo di sicurezza ed efficacia vantaggioso nell’utilizzo di erenumab tra i soggetti emicranici con aura. L’emicrania con aura si verifica in ben un terzo dei pazienti emicranici, con una prevalenza stimata del 20-40%. Attualmente, non sono disponibili trattamenti consolidati per abortire o prevenire i sintomi dell’aura, e le risposte terapeutiche possono essere diverse tra i pazienti con aura rispetto ai soggetti con emicrania senza aura.

Erenumab riduce gli attacchi di emicrania

Erenumab, un anticorpo monoclonale, approvato dall’Ema e Fda, ha dimostrato un’efficacia clinica sia nell’emicrania episodica che cronica, riducendo i giorni mensili di emicrania (MMD) e l’uso di farmaci specifici per l’emicrania acuta (AMSM). Per comprendere i profili di sicurezza ed efficacia nei pazienti emicranici con aura, è stata condotta un’analisi post hoc da 4 studi clinici randomizzati, realizzati in Nord America, Europa, Russia e Turchia. Dei 2682 pazienti randomizzati durante le fasi di trattamento, il 52,2% dei soggetti ha ricevuto 1 o più dosi di Erenumab e il 38,9% ha ricevuto un placebo. Tra coloro che hanno ricevuto Erenumab, 1140 pazienti, il 47% circa, aveva una storia di aura. L’età media dei partecipanti era di 42 anni e la maggioranza (84%) era di sesso femminile. I risultati hanno mostrato che i pazienti con e senza aura che hanno ricevuto Erenumab hanno avuto una riduzione del 50% e più dei giorni mensili di emicrania. Le risposte cliniche si sono mantenute nel tempo, con un intervallo di 1-2 anni, e in alcuni casi fino a 5 anni. I ricercatori hanno inoltre scoperto che i profili di sicurezza erano simili tra i gruppi trattati indipendente dalla storia dell’aura ed erano “paragonabili a quelli del placebo per 12 settimane, senza un aumento dell’insorgenza di eventi avversi”.

Articolo pubblicato su Farmacista33

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